Slowfood

Il rubino della Valpolicella

Sbagliando si impara…

di Diego Anzola

Siamo nel Veneto degli anni ’30 e come tutte le mattine il capocantina Adelino Lucchese si sveglia e si reca al lavoro. Nella Cantina Sociale di Valpolicella lo aspettano molte botti da imbottigliare.

È un giorno come tanti altri, ma quel giorno Adelino commette un errore. Imbottigliando il vino “Recioto dolce” non si avvede di una botte. Il vino resta così, in botte, dimenticato. Quando il cantiniere se ne accorge, teme di essere licenziato.

La sorpresa è grande quando, assaggiandolo, questi si accorge che il vino era diventato addirittura più buono, con struttura, potenza e corpo, grazie alla fermentazione extra in botte che aveva trasformato gli zuccheri in alcol. Il prodotto diventa elegante, morbido e non essendo più dolce viene chiamato “Amarone”.

Adelino, commettendo quell’errore, si ritrovò tra le mani un gioiello: il rubino della Terra delle Meraviglie, la Valpolicella.

La prima bottiglia con il nome amarone viene prodotta nel 1936 e il successo arriva nel 1968 con l’attestazione DOC, e nel 2010 con l’ambito riconoscimento DOCG.

Le uve principali dell’Amarone della Valpolicella sono Corvina, Corvinone e Rondinella. Alzando il calice alla luce si presenta come un vino dal colore rubino e con riflessi mattonati. Avvicinando il bicchiere al naso si nota subito la persistenza del profumo speziato valorizzato da sentori di noce e frutti del sottobosco con un richiamo in chiusura di cioccolato.

Viene servito tra i 18° e 20° C, preferibilmente con la bottiglia aperta un paio d’ore prima e si abbina ottimamente con brasati, selvaggina, salumi e formaggi stagionati.

Considerato anche vino da meditazione, viene preferito nei momenti di relax.

Se Adelino non si fosse sbagliato oggi non potremmo gustare questa prelibatezza che tutto il mondo ci invidia: dal quel giorno i produttori della Valpolicella ripetono intenzionalmente ogni anno quell’ “errore”.

Sbagliando si impara…

10 pensieri riguardo “Il rubino della Valpolicella

  • Diego

    Bell’articolo. Complimenti

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